Martina Corgnati

 "(...) perché per Silvia Moro inserirsi comodamente in un contesto storico interno al sistema dell’arte non era affatto un’operazione facile, anzi per molti versi del tutto artificiale e pretestuosa. La sua marginalità rispetto a quel sistema infatti è stata per lungo tempo non una questione tecnica o strategica (il mondo dell’arte peraltro, come si è visto, non respinge più nessuno per ragioni di compatibilità tecnica o strategica) ma proprio una scelta di vita e di lavoro: Silvia Moro non frequentava le gallerie; non faceva mostre personali; non si preoccupava del proprio curriculum e delle proprie quotazioni.

 La sua appartenenza o il suo interesse per l’arte propriamente detta non era tanto professionale ma dipendeva puramente, se così posso dire, dal bisogno e dal piacere di creatività, di invenzione e di libertà che ha caratterizzato tanta parte della sua esistenza e delle sue decisioni. 

Arte, allora, sui generis, arte come dimensione fondamentale, necessaria e non professionale, espressiva e non commerciale; e inoltre politica, autobiografica. 

Silvia Moro mette in scena complicate scenografie o, se si preferisce, installazioni a tema che fanno spettacolo in se stesse, servendosi di mezzi poveri e notevoli competenze artigianali; 

Viaggia molto (in India, Africa, Europa), dimostra uno spiccato interesse per i lavori tradizionali femminili e tratta ad ogni occasione e pratiche artistiche come strumento di relazione con gruppi molto vari -  bambini di strada, residenti di case occupate, centri sociali, recentemente extra-comunitari. 

(..) un viaggio in autostop che Silvia Moro concepisce soprattutto come occasione di relazione, di incontro, di interferenza e di contaminazione reciproca piuttosto che come palcoscenico in cui agire in prima persona, da protagonista. 

(...) chi va in giro è soprattutto una donna che invita le altre alla ri-scoperta della propria femminilità, addirittura della propria genitalità, di cui forse è alla ricerca lei stessa. 

Una donna curiosa, partecipe, pronta ad ogni evenienza, che all’occorrenza cucina, racconta, scambia, si mette in gioco,(...)


 La rinuncia sistematica all’autorship a favore dello scambio e della condivisione, il rifiuto di fermarsi sull’opera, l’oggetto risolto, compiuto e concluso a favore di un insistente e persino umile processualità; il rifiuto, in altre parole, della verticalità dell’io a favore dell’orizzontalità del noi, un noi  femminile, indefinito, aperto, non barriera ma rete, non dogma ma tentativo, almeno tentativo di osmosi e di condivisione. <<La mobilità>> diceva Kimsooja, <<è lo stato fondamentale dell’essere attuale. Niente è immobile… ogni momento è in vibrazione col suo ritmo>>.
E il viaggio infatti riprende presto, giusto all’altezza della prossima alba. 

Martina Corgnati   

 ( estratto dal testo critico al catalogo della mostra "brides on tour" presso      Fama gallery di Verona)

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